martedì 25 settembre 2012

Le vele senza il mare.


Per arrivare a Scampia da Piazza Garibaldi, snodo nevralgico per muoversi nel capoluogo campano, bisogna prendere prima la Linea 2 della metropolitana, poi scendere alla prima fermata, Cavour, e cambiare con la Linea 1, la metropolitana collinare, fatta di 12 fermate, di cui l’ultima, Piscinola - Secondigliano, ti porta più a Nord di Napoli, dove non si sa bene se la città inizi o finisca.

Mentre il treno rallenta e sta per fermarsi a Piscinola, noto dall’alto del mio vagone le “famose” vele, edifici giganteschi con tantissimi piani, e un cartello che mi mette i brividi “Benvenuti a Scampia. Basta crederci e trovi un mare di bene a Scampia.”

Foto di Guido Ruotolo -  multimedia.lastampa.it


Ho gli occhi lucidi. Scesa dalla metro sbaglio direzione e mi dirigo a sinistra, verso Piscinola. Mi fermo a chiedere informazioni a qualche passante (dove sono i passanti?) di fronte a un Palazzo del Comune di Napoli che stona totalmente con l’incuria delle costruzioni e la povertà circostante. Un ragazzo di colore mi nota, evidentemente appaio abbastanza disorientata, e sorridendomi mi chiede in un buon italiano di cosa ho bisogno. Gli dico che sto cercando Via Labriola e lui mi porta nel negozio di fiori lì vicino per chiedere ad “Antonio”. Antonio, il fioraio, mi spiega che Via Labriola è a Scampia, mentre quella è Piscinola, e mi dice che devo tornare in stazione, prendere un ascensore e, semplicemente, scendere.

Effettivamente le vele erano dall’altra parte, ma forse in cuor mio speravo di non doverci passare, chissà. Mi dirigo verso la stazione, chiedo conferma a una ragazza molto carina, con cuffiette e zainetto, che mi invita a evitare le scale e prendere l’ascensore “perché è meglio”. Io ringrazio e taccio. Non lo so il perché, ma faccio come mi dice. Mentre esco dall’ascensore l’immagine grigia e cupa che avevo solo intravisto si fa sempre più chiara e nitida. Chiedo informazione a un vigilante, che però non sa indicarmi e mi fa aiutare da un venditore ambulante di caramelle, anche lui molto gentile. Mi chiede dove devo andare a Via Labriola, e io con una voce sottile rispondo “la redazione di un giornale”. Non svelo il nome, più che altro perché penso non possano conoscerlo. Mi indica la fermata più vicina e mi convince a prendere un bus, perché a “a piedi è lontano”.
Alla fermata una vecchina molto dolce, mi chiede se può sedersi accanto a me, ed è chiaramente desiderosa di chiacchierare con qualcuno riguardo al caldo e alla carenza delle corse dei pullman. Farà anche caldo ma il cielo mi sembra nuvolo, spento. In giro non c’è quasi nessuno, sembra un quartiere deserto, eppure sono vicina alle stazioni metro e bus, solitamente luoghi frequentati. Dove sono gli abitanti del quartiere? Dicono che siano migliaia, più di 40 mila, ma io non vedo nessuno. Nell’arco di pochi minuti arrivano dei pullman, semivuoti, ne prendo uno dopo aver appurato che Via Labriola ha due fermate, per cui ci sono due bus diversi che portano lì.
Il giro è breve, potevo chiaramente andare a piedi. Però ora forse capisco il motivo per cui le persone che ho incontrato e a cui ho chiesto, mi abbiano detto di prendere il pullman. Se non l’avessi preso la via migliore sarebbe stata in alternativa l’attraversamento delle vele. Avranno voluto forse “farmele sparagnare”?

Non lo so, non posso rispondere. Quello che posso dire ora, dalla mia stanzetta colorata, da un piccolo paesino vicino alla borghese Caserta, che io tanto grigiore non lo avevo mai visto. Non è il classico degrado interurbano o periferico, che mi è capitato di vedere nelle periferie casertane o in altre zone di Napoli, come l’hinterland ad esempio. No, è qualcosa di più, qualcosa di così indigeribile che ti spacca dentro. Scampia è un’offesa al buon gusto, ad ogni senso estetico, a ogni idea minima di organizzazione urbanistica che sia congeniale all’essere umano. Altro che mancanza di piste ciclabili o le buche nelle strade.

Qui manca il fulcro del quartiere, manca qualcosa cui la gente possa girare intorno. Un centro, un punto di riferimento, qualcosa che rassicuri, che unisca, in cui identificarsi.
E fa male anche andarsene da qui, sapendo che forse poco potrà cambiare, nonostante questa gente ti sappia dare “un mare di bene”.

Non mi sono permessa di fare foto, lo ammetto, anche se potrà sembrare un pensiero assurdo,  perché non mi andava che la gente intorno a me si sentisse giudicata. Del resto io con una maglietta lilla e degli occhialini da sole vintage, chi cazzo mi penso di essere, cosa penso di poter “giudicare”? Niente, assolutamente niente. 

Solo la miseria umana di chi, nei posti di potere, su poltrone dorate, ha reso possibile tutto ciò, dividendo Napoli in zone alte e zone basse, zone importanti e zone nulle, o forse sarebbe meglio dire, “annullate”.

Si perché il degrado annulla, non dà possibilità di riscatto, ingrigisce, spegne.

Arrivo a Napoli, nel caos della stazione pullman, il sole è forte, come il rumore del traffico, il caos della gente nell’ora di punta. 

E adesso il mio paesino mi sembra il top, con le sue strade piene di buche, i negozi (troppi), il traffico, 4 benzinai in 200 metri, nessuna pista ciclabile, qualche rifiuto ai lati delle strade, il vigile che fa attraversare i bambini su strisce scolorite. 

Mi manca quasi.



N.B.: il mio non vuole essere un articolo di denuncia, né un’osservazione obiettiva della situazione di Scampia, anche perché non potrei permettermi assolutamente di farlo, non avendola vissuta per più di poche ore. Sono solo impressione personali, limitate e forse parziali.


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