giovedì 31 gennaio 2013

Elezioni social.


Da Il caffè del 26 gennaio 2013


E’ da più di un anno che provo a raccontare come la discussione politica si sia ormai spostata anche online, e in particolare sui social network come Facebook o Twitter.
Finalmente anche la grande stampa, quella che conta, ha cominciato a capire l’importanza di questi mezzi, le potenzialità e anche i “pericoli”. Ad analizzare la comunicazione politica dei tweet di Twitter o dei post di Facebook, a studiare il seguito di un politico piuttosto che di un altro, a cercare di capire quant’è forte la ripercussione che ha una dichiarazione quando a seguire un determinato esponente o partito, può esserci potenzialmente una grossa fetta della Rete.
E fioccano anche analisi e statistiche. Che non mancano mai, in un’Italia così incerta.
Secondo i dati Nielsen, l’Italia è al primo posto nell’utilizzo di social media, anche più degli Stati Uniti. Gli italiani passano tanto tempo su blog e social network, all’incirca 1/3 di tutto il tempo trascorso online.


Un occasione ghiotta, fanno notare gli studi Nielsen, per le imprese e il marketing, e ovviamente, aggiungerei anche per la politica. Che in fondo non fa che vendere un “prodotto”, imbonendo il compratore che sia meglio di quello degli altri. Che sia un programma, un’ideale, un progetto, o una grande bugia.
Dopo anni in cui lo spirito critico degli italiani è stato messo a dura prova dal duopolio televisivo Rai-Mediaset, da un conflitto di interessi palese e mai affrontato seriamente, da un editoria stanca e conservatrice di se stessa, forse queste nuove modalità di comunicazione e partecipazione, possono sembrare un respiro di sollievo, una nuova opportunità di conoscere i fatti e poterli commentare.
Ma quanto realmente l’approccio dei nostri esponenti politici è innovativo e significativo? Quanto, invece, resta solo lo specchio del loro modo classico di comunicare agli italiani? Quanto, la loro presenza online è cassa di risonanza di combattimenti in arene televisive, trasformando la partecipazione degli utenti dei social media in mero commento dei peggior teatrini che si tengono nei salotti dei più seguiti talk show?
Non sono queste domande retoriche, perché le risposte possono essere varie e contrastanti. L’uso che se ne fa di questi mezzi dipende ancora una volta dal grado di consapevolezza che si vuole avere dei fatti, da quanto si è interessati a un’informazione sana e pulita, che non sia tifo politico.
La campagna elettorale che ci porterà alle elezioni del 24 e 25 Febbraio è ancora fatta di manifesti e comparse televisive, mentre la forma del comizio sta, in taluni casi, lasciano spazio a una piazza “virtuale”. Alcuni esempi contrastano con questa tendenza, come i palchi di Beppe Grillo o come Matteo Renzi che ha girato l’Italia in camper.
In ogni caso, secondo il sociologo Marcio Morcellini, Twitter in particolare, ha il merito di fornire delle parole chiave, ossia argomenti rilevanti, che poi il politico andrà a sviluppare in tv. Chi l’avrebbe mai detto che un “hastag” sarebbe diventato più importante di uno slogan su un manifesto, o un discorso preparato?
Ma la cosa più importante, che ad esempio offre un mezzo come Facebook, dove sicuramente c’è più spazio per esprimersi rispetto ai 140 caratteri di un tweet, è la possibilità di raccontare le proprie giornate, il proprio operato, ribadire le leggi per cui si è lottato o votato contro, rendere partecipe chi ci segue  delle proprie idee e progetti, senza passare per un’intervista giornalistica, un articolo di giornale, l’interpretazione di un “avversario”. Diretti all’interlocutore, senza filtri, se non quello dello Staff incaricato di aggiornare la propria pagina, e magari eliminare i commenti più scomodi.
Che vinca, dunque, lo Staff migliore.

Luisa Ferrara

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